C’è un tema che è tornato a
girarmi per la testa da quando frequento i territori della blogosfera: l’ascolto.
Apparentemente, potrebbe sembrare irrilevante in questi spazi in cui l’aspetto
più importante della comunicazione sembra essere quello legato alla capacità di
espressione, ma io credo che l’ascolto sia fondante e generativo all’interno di
ogni tipo di comunicazione, anche e soprattutto in quella che ha carattere
interattivo dove il parterre dei nostri interlocutori è avvolto dalla sottile
caligine della virtualità.
Si potrebbe obiettare che la
maggior parte dei blogger usa il suo spazio come diario personale, per far
conoscere le proprie opinioni ai lettori occasionali e assidui, ma un blog,
liberamente fruibile da chiunque, è un diario in senso lato. Mi chiedo, allora:
fino a che punto un blogger rischia di dar vita a una lunga serie d’inutili soliloqui?
L’ascolto si nutre di empatia, un fondamentale universale della socializzazione
umana, ma quanti di noi hanno la capacità empatica [ma anche il desiderio] di “accogliere”
l’altro? Evidentemente, ben pochi se pensiamo all’incremento esponenziale dei
comportamenti d’intolleranza e aggressività che caratterizzano la società
odierna.
Praticando i luoghi della formazione,
il tema dell’ascolto [e in modo particolare dell’ascolto attivo] m’interpella
fortemente e mi preoccupa perché ho la sensazione che ognuno di noi sia molto
più interessato ad ascoltare se stesso, nonostante il fiorire di ogni tipo di
relazioni umane che la rete rende possibile. Un solipsismo di fondo che sembra
soddisfare umani desideri di autoaffermazione.
Me lo chiedo anche quando pratico
la blogoclasse del corso di Editing Multimediale che seguo in quanto
studentessa IUL. Considero la blogoclasse un luogo ricco di opportunità perché aperto
non solo agli studenti ma anche ad appassionati e passionali blogger di varia
provenienza. Nella blogoclasse gli incipit sono numerosi e tutti degni d’interesse,
eppure può capitare che questi sassolini lanciati nell’acqua non risveglino
cerchi concentrici e/o armoniosi. Tutto è comunicazione, altresì, allora mi
chiedo qual è la natura di questa comunicazione e, soprattutto, se c’è vera
comunicazione o se la blogoclasse si configura essenzialmente come luogo d’incontro
e raccolta delle reciproche risorse cui ognuno attinge in base alle proprie
esigenze e in cui l’autentica comunicazione è possibile, ma non necessaria. E
invece, magari, anche dietro un silenzio si nasconde una risorsa. Magari, si
resta in silenzio perché si ammira il proprio interlocutore e lo si ritiene più
competente di noi. Trame e tessuti visibili e invisibili, armonici e
disarmonici.
Certo, per chi si occupa di
formazione, non esiste un limite all’importanza di saper ascoltare e di saper
essere davvero accoglienti nei confronti di chi ci affida la costruzione del
proprio benessere. Non varrà la pena di rifletterci, dunque?
Ricordo uno splendido percorso di
educazione socio-affettiva che alcuni anni orsono mi portò a incontrare il
metodo Gordon nella prospettiva, appunto, dell’ascolto attivo. Non furono poche
le sorprese, le paure e gli entusiasmi quando testammo il percorso su noi
adulti e docenti prima di coinvolgere le classi…
Alessandra,
RispondiEliminale tue riflessioni sono molto stimolanti.
Questa mattina ho velocemente letto gli ultimi post, ho preso un paio di appunti mentali per alcune risposte e poi sono passata oltre.
A volte i testi degli altri compagni stimolano le nostre riflessioni anche senza produrre tracce scritte, altre volte non si risponde solo per macanza di tempo o perchè in questo mare di parole succede di "perdersi qualcosa".
Mi piace pensare che gli imput che ci forniamo vicendevolmente possano essere semi che possano maturare anche in futuro quando torneremo a leggerci senza lo stress di studio, esami etc.
Un'altra riflessione che facevo è che per scrivere qualcosa occorre avere tempo per pensare, per fare esperienze, altrimenti potremmo anche comporre dei bei testi ma sarebbero inesorabilmente vuoti.
Domanda: se tutti scrivono, allora chi legge?
Grazie, Hanny, mi piace molto il tuo commento e trovo fantastica la domanda finale. Certo, hai detto bene, un mare di parole...
RispondiEliminaConcordo. Io a volte mi sento quasi "soffocare" da questo "mare di parole". In questo cyberspazio ho la sensazione che le persone si sentano quasi in "dovere" di dover dire, dire, dire... Ma io non riesco a "dire" se prima non leggo, rifletto ed elaboro. E il tempo è tiranno, e la vita non è solo Internet e Rete. La vita è comunicazione. Certo. Ma una comunicazione attiva, consapevole, critica. Quanta comunicazione c'è nel bere una birra in compagnia di un amico o di un'amica? Tanta! Tantissima! Ed è proprio lì che scaturisce il proprio "io", quello spontaneo, non filtrato da uno schermo. Ed è sempre lì che scaturisce anche l'autentica capacità del riconoscimento dell'alterità.
RispondiEliminaBen venga la Rete, ben venga il caos. Ma ben vengano le persone. Quelle vere, senza filtri virtuali. Senza "obblighi", senza "doveri di comunicazione".
Grazie Alessandra, molto bello il tuo commento. E grazie anche a te Hanny.
@ Mafalda: Per che cosa, per le chiacchere amiche, per la comunicazione "critica" o per la birra?
RispondiEliminaLascio a te la risposta... A me vanno bene tutte! ;-)
RispondiEliminaCara Mafalda,hai centrato un punto importante: l'effetto dello schermo-barriera sulla spontaneità... A quando la birra? ;-)
RispondiEliminaQuando vuoi cara! ;-)
RispondiEliminaQuesto doveva essere un commento ma blogger l'ha rifiutato perché troppo lungo. L'ho scritto quindi sotto forma di post e lo linko qui, a mo' di trackback.
RispondiElimina